Alice Orf racconta la sua visione di mondo per immagini, e lo fa guardando in alto, a ciò che siamo stati e siamo, in quella che è ancora la nostra estetica e il nostro pensiero — l'arte antica.
Immutabile e struggente al punto da volerla ancora animare, muovere e risvegliare; mettere in scena nel qui e ora: dove quello che (solo apparentemente) è fermo e dimenticato, ritorna vivo e palpitante; grida e si colora, schiaffeggia in schizzi di vernice, graffiti e tagli.
Alice Orf partecipa ad una tendenza storicamente Pop, che è quella della riproduzione dell'opera greca.
E dalla fissità che ci giunge - decolorata e ferma - recupera le intenzioni primarie, greche, di movimento, colore e azione.
Raccoglie le statue e le muove, soffia un nuovo respiro in loro, e ci restituisce la loro voce, forte. Quella struggente perfezione, quella dolcezza altera che ancora ci corrisponde e ci emoziona, così lontana e così vicina, infinitamente Pop.
Chiude loro gli occhi, li cancella, ma ancora ci guardano e ancora ci accarezzano, perché la verità che esprimono è incancellabile.
Traduce quegli stessi fuochi in un gergo contemporaneo; avvera la smaterializzazione dell'arte, riportando le sue opere all'ultimo appello della riproducibilità tecnica.